In alcuni casi i lavoratori che richiedono una cessione del quinto si trovano a dover sostenere spese che, in realtà, dovrebbero essere a carico del datore di lavoro. Stiamo parlando, ad esempio, del costo del bonifico mensile della rata o addirittura del pagamento richiesto per l’emissione del certificato di stipendio.
Si tratta di pratiche che suscitano perplessità, non solo per motivi etici, ma anche perché, nella maggior parte dei casi, risultano contrarie ai principi stabiliti dalla giurisprudenza e dalle convenzioni vigenti. In questo articolo analizziamo le differenze tra lavoratori privati, dipendenti pubblici/statali e pensionati, con un occhio alla normativa e al buon senso.
Dipendenti privati
La nostra esperienza nel settore ci conferma che molte segnalazioni arrivano proprio da lavoratori del settore privato, che si trovano a pagare spese poco chiare in busta paga. In particolare, alcuni clienti ci riferiscono dell’addebito di costi per il bonifico mensile o addirittura per l’emissione del certificato di stipendio.
Queste situazioni sono spesso vissute con rassegnazione, ma è importante sapere che non sempre sono legittime. In questo articolo analizziamo i casi più frequenti e ti aiutiamo a capire quando vale la pena approfondire la questione.
Alcune aziende private addebitano al proprio dipendente il costo del bonifico mensile con cui viene versata la rata all’istituto di credito. Una pratica che appare inaccettabile, soprattutto oggi, considerando che la maggior parte delle aziende dispone di servizi bancari che permettono bonifici illimitati inclusi nel canone. È difficile sostenere che si tratti di un costo effettivo, e ancor più difficile giustificarne l’addebito al dipendente come fosse una spesa straordinaria: l’invio del bonifico e la gestione del piano di ammortamento rientrano nella normale amministrazione del personale.
In alcuni casi, quando l’azienda ha una dimensione rilevante, gli istituti di credito stipulano una convenzione con l’azienda stessa, assumendosi direttamente il costo di gestione. In questo modo si evita che tale spesa venga addebitata al dipendente.
Anche se ormai sempre più raro, esistono casi limite in cui l’azienda pretende un pagamento (solitamente intorno ai 50 euro) per la compilazione del certificato di stipendio, un documento indispensabile per avviare una pratica di cessione. Anche questa pratica risulta discutibile: l’emissione del certificato rientra tra gli obblighi del datore di lavoro e non dovrebbe generare oneri per il dipendente, come previsto dall’articolo 2 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, che impone al datore di lavoro l’obbligo di fornire i dati e i documenti richiesti per istruire una pratica di cessione, compreso il certificato di stipendio. Inoltre, nel contesto della cessione del quinto, tali oneri sono considerati parte integrante delle attività amministrative ordinarie dell’azienda.
A conferma di ciò, la giurisprudenza ha più volte chiarito che è illegittimo far ricadere sul lavoratore tali costi. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22362 del 7 agosto 2024, ha stabilito che i costi amministrativi connessi alla gestione della cessione del quinto spettano al datore di lavoro, non potendo essere addebitati al dipendente. Inoltre, la Corte ha precisato che questi costi amministrativi rientrano nella sfera dell’organizzazione aziendale regolata dall’art. 2086 c.c., e non possono essere trasferiti al lavoratore se non in presenza di una comprovata onerosità per l’impresa. La sentenza richiama anche i principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), sottolineando che il datore di lavoro deve adempiere ai propri obblighi senza danneggiare il dipendente, nemmeno indirettamente.
Dipendenti statali
Nel caso dei dipendenti statali, il discorso è completamente diverso. Le amministrazioni pubbliche hanno in essere convenzioni con gli istituti di credito per la gestione delle cessioni e delle deleghe di pagamento. È l’istituto di credito che riconosce un rimborso all’amministrazione per ogni rata trattenuta e versata.
Queste convenzioni permettono di standardizzare il processo e assicurano che il dipendente non debba sostenere alcun costo per l’invio del bonifico o per la documentazione necessaria alla pratica.
In altre parole, non solo non è previsto alcun addebito per il dipendente, ma è l’ente pubblico ad essere rimborsato per il servizio svolto. Un sistema che funziona e che tutela il lavoratore pubblico.
I rimborsi agli enti pubblici per la gestione delle trattenute relative alla cessione del quinto sono disciplinati da convenzioni stipulate direttamente tra gli istituti di credito e le amministrazioni interessate, secondo criteri stabiliti da accordi bilaterali o da normative secondarie. Tali convenzioni permettono di semplificare le procedure e garantire che i costi non ricadano sui dipendenti pubblici.
Pensionati
Anche l’INPS, per la gestione delle cessioni del quinto sulle pensioni, riceve un rimborso da parte degli istituti convenzionati. Il valore di questo rimborso è stabilito a livello normativo e si aggira intorno ai 2 euro per rata.
Questo meccanismo garantisce che l’ente possa gestire le pratiche in modo efficiente senza scaricare costi sul pensionato, il quale riceve la rata già decurtata direttamente sul cedolino mensile, senza ulteriori adempimenti.
Il riferimento normativo in questo caso è l’art. 8 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 313 del 27 dicembre 2006, che disciplina il rimborso delle spese sostenute dall’INPS nella gestione dei prestiti con cessione del quinto della pensione.
Il pensionato non deve occuparsi di bonifici né di comunicazioni mensili: tutto avviene in modo automatico grazie alla convenzione tra INPS e le finanziarie accreditate.
Chi paga il bonifico nella cessione del quinto?
Nel caso della cessione del quinto, il bonifico mensile con cui viene rimborsata la rata non dovrebbe mai essere a carico del dipendente. Questa operazione è parte integrante della gestione amministrativa interna del datore di lavoro, e i costi (nella pratica quasi sempre nulli per l’azienda) non possono essere scaricati sul lavoratore.
Se ti ritrovi ad avere trattenute in busta paga con voci come “spese bonifico rata prestito” o simili, è legittimo chiedere chiarimenti e pretendere che siano eliminate, a meno che non siano previste da una norma o da un contratto firmato esplicitamente.
Domande frequenti sulla cessione del quinto e le spese di bonifico
Conclusione
In un sistema corretto, i costi di gestione della cessione del quinto non devono mai ricadere sul lavoratore. Questo principio è già applicato nel settore pubblico e pensionistico, grazie a convenzioni chiare e consolidate. Nel settore privato, invece, persistono ancora pratiche discutibili, spesso frutto di scarsa informazione o di scelte aziendali poco trasparenti.
È fondamentale che i lavoratori conoscano i propri diritti e che si oppongano, anche per via formale, ad addebiti non giustificati. La giurisprudenza più recente conferma che far pagare al dipendente i costi di gestione della rata è illegittimo. Nessuna azienda può scaricare sul lavoratore spese che fanno parte della normale gestione amministrativa del personale.
Se ti è stato addebitato qualcosa di simile, valuta con attenzione se far valere i tuoi diritti con gli strumenti e nelle sedi opportune. In caso di dubbi, può essere utile confrontarsi con un consulente legale o con un'associazione di categoria per ricevere orientamento.
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